Capire il presente.... |
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Capire il presente per immaginare un futuro sostenibile: riappropriamoci del tempo
Da "Greenreport.it " [ 19 marzo 2012 ] Luca Aterini Viviamo del cambiamento, e il cambiamento, seppur non sempre necessario o anche auspicabile, è certamente qualcosa dalla quale non è possibile affrancarci. Questo moto e rimescolamento continuo delle condizioni sociali ed economiche (nonché ecologiche, ormai: l'antropocene non è futuro, ma presente) è qualcosa cui la natura dell'essere umano non è avvezza, almeno nei termini e nelle gradazioni che si spingono a livelli sempre più estremi da più di un secolo e mezzo, a partire dalla Rivoluzione industriale. Se il cambiamento può essere allora assimilato alla corrente di un fiume in piena che non può essere arrestata, ciò non significa che non esistano più regolatori e registi di questo cambiamento, ed il ruolo preminente della democrazia sta proprio nell'incanalare questa corrente, in modo da non farle divorare gli argini per poi tradursi solo in una pozza stagnante - dove allora anche i grandi poteri non potranno che ridursi a piccoli re dello stagno, senza più fondamenta su cui potersi basare. Il moto della corrente, incanalato e regolato nella direzione, può e deve esserlo anche nel ritmo del fluire - come pure argomenta Polanyi ne il suo "La grande trasformazione" - perché i delicati tessuti sociali non si trovino sfaldati da questo fluire eccessivamente vigoroso, senza avere il tempo e le possibilità di adattarsi al cambiamento. Ad oggi, il ruolo dei registi per eccellenza, dunque della politica e della democrazia, risulta appannato in entrambi i compiti. Da una parte, quella crescita esponenziale che deve e dovrà trasformarsi in sviluppo sostenibile per non mordere fino allo stremo l'argine sociale ed ecologico sul quale basa il suo fluire, ancora rimane l'ideologia dominante. Tramortita dalla crisi, ma non per questo già soppiantata, sebbene sparute propaggini politiche ma soprattutto culturali acquistino vigore e visibilità sempre maggiori. Dall'altra, per quanto riguarda il fattore temporale del cambiamento, questo è sfuggito totalmente di mano al regista, che finisce dunque per risultare indebolito anche in ogni altra sua funzione. Questo trasferimento in favore di poteri altri dalla democrazia, in primis verso quel "Senato virtuale" composto dalla gestione internazionale dei capitali finanziari, è ancor meno analizzato e combattuto di quanto non lo sia l'attuale incapacità della politica di indicare una diversa via di sviluppo. «Oggi il tempo è diventato unità di misura di tutto, anche dello spazio [...] l'insieme forma una nuova geografia, un'inedita territorialità virtuale. In questo senso la tecnologia e l'economia sono più veloci e potenti della politica», scrive oggi l'antropologo Marc Augé in un'intervista sulle pagine culturali de la Repubblica, per poi continuare osservando che, purtroppo, «con un certo modello di libero mercato e di democrazia che si mondializzano e diventano pensiero unico, non resta altro che assicurare il buon funzionamento del mercato». «La crisi provocata dalla finanza ci ha rubato il futuro. Lo ha letteralmente seppellito sotto le paure del presente. Tocca a noi riprendercelo», argomenta. Senza registi, come può esistere programmazione? Scendendo nel particolare, la somma di questa mancanza, sommata alla paura di un futuro sempre più incerto ed alla seguente compressione della speranza nell'immediatezza, si traducono nella frenesia del gioco d'azzardo, ormai pervasivo nel Belpaese: questa foga «l'anno scorso ha incenerito 76 miliardi di euro in gratta e vinci, videopoker, slot machine, lotto e schedine varie, 15 più dell'anno prima», scrive l'Avvenire, sottraendo ingenti risorse ad altre e più propriamente dette forme di investimento, sia economiche che di crescita personale, o volte alla sicurezza ed alla vita familiare. «Effettivamente noi viviamo una sorta di ipertrofia del presente. Che è amplificata dai media, vecchi e nuovi. In un certo senso il nostro tempo non è più lineare, ma circolare. Come quello delle società primitive, come quello del mondo contadino. Fondati sull'alternanza delle stagioni. E anche noi del resto viviamo di stagioni: sportive, scolastiche, politiche», osserva ancora Augé, benché forse il tempo - ancor prima che circolare - può essere ormai definito come puntiforme, «frammentato in una moltitudine di particelle separate», come invece lo definisce il sociologo Bauman. La nuova sfida per il futuro, o almeno per costruirne uno, per Augé rimane quella di «raccogliere fino in fondo la sfida della conoscenza», spinti già da scoperte scientifiche grazie alle quali «forse stiamo imparando a cambiare il mondo prima di immaginarlo». L'ombra di un nuovo paradosso, però, rimane. Cambiare il mondo prima ancora di immaginarlo può essere molto pericoloso. Il monito di Peter Vitousek, biologo ed ecologo di Stanford, rimane valido: «cambiamo il pianeta più rapidamente di quanto non lo comprendiamo». Raccogliere fino in fondo la sfida della conoscenza non può che portarci anche ad immaginare dove potrà condurci una vittoria - o anche una ben triste sconfitta.
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